Tra le verità sull’aborto che nessuno dice mai…
Martedì 22 gennaio scorso sono ricorsi i 40 anni esatti dell’aborto legale negli Stati Uniti d’America. Mancano all’appello circa 56 milioni di vite umane, e da allora alle donne è stata imposta una sudditanza che ha il volte atroce di una nuova schiavitù. Le si è rese incapaci di guardare la gravidanza come un dono, una speranza, una gioia; si è inculcata loro l’idea distorta che famiglia e professione si escludano a vicenda; le si è rese più deboli di fronte alla rapacità di molti uomini; si e è avvelenato il loro cuore insinuando che la morte è la soluzione ai problemi, ai dubbi, alle difficoltà.
Ciononostante, pare che la cultura abortista stia perdendo sensibilmente terreno. Lo dice nientemeno che il settimanale Time, persino dalla copertina. Il fatto è, dice Time, che, nonostante tutto, diverse cliniche abortiste hanno dovuto chiudere i battenti per questa o per quella ragione; che alcuni emendamenti di legge hanno attenuato sensibilmente la gravità della legge del 1973 (per esempio l’emendamento annuale promosso nel 1976 dal deputato Repubblicano cattolico Henry J. Hyde [1924-2007], che impedisce l’impiego di denaro pubblico americano per l’aborto esclusi incesto e stupro); e che l’azione benefica dei consultori e dell’attivismo pro-life, che negli Stati Uniti è una vera e propria crociata, sta dando effetti grandiosi.
Il punto nodale però è che l’intera vicenda della legalizzazione dell’aborto americano è un cumulo di menzogne. La prima menzogna è quella relativa al numero degli aborti clandestini praticati negli Stati Uniti in condizioni assurde e terribili prima del 1973, una piaga che i filoabortisti hanno a lungo astutamente utilizzato per chiedere a gran voce la legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. È una menzogna perché quelle cifre furono gonfiate ad arte.
Responsabile principale di questa bugia fu Bernard Nathanson (1926-2011), il famoso medico di New York che si vantava di essere stato responsabile di 75mila aborti a iniziare da quello che impose e praticò a una giovane che aveva messo incinta. «La cifra vera stava attorno alle 100mila unità, ma noi dicemmo ripetutamente ai media che si trattava di un milione. […] Le donne che morivano ogni anno per gli aborti illegali erano circa 200-250. La cifra che costantemente davamo in pasto ai media era 10mila». Nathanson lo ha confessato dopo essersi convertito, essere divenuto cattolico ed essersi trasformato in eroe pro-life.
La seconda menzogna è quella della ragazza coperta da anonimato, “Jane Roe”, che, incinta per uno stupro, fu la causa prossima della sentenza del 1973. È una menzogna perché lo stupro fu solo un’invenzione di quella ragazza dall’adolescenza rovinata, lesbica, che, alla terza gravidanza indesiderata, s’inventò la violenza. Lo ha confessato lei, rivelando di chiamarsi Norma Leah Nelson McCorvey, dopo essersi convertita prima al protestantesimo poi al cattolicesimo, ed essersi trasformata in eroina pro-life.
La terza menzogna è quella praticata dalla Corte Suprema federale di Washington. È una menzogna perché a quel massimo tribunale del Paese compete esclusivamente il peraltro decisivo compito di vegliare sulla costituzionalità dell’operato del legislatore, mai quello di legiferare in prima persona.
La quarta menzogna è quella che spaccia l’aborto per libertà individuale e diritto alla “salute riproduttiva”. È una menzogna perché la piaga seconda per gravità solamente alla soppressione della vita umana nel grembo materno è oggi quella della sindrome postaborto che colpisce le madri, ma pure i padri di bambini abortiti, seguita a ruota dalla terza, le malattie riconducibili all’aborto che colpiscono le madri abortiste.
La quinta menzogna è quella del mito femminista. È una menzogna perché la “lotta di liberazione della donna” non c’entra nulla con l’aborto. Anzi, semmai c’entra proprio con il suo esatto contrario, la difesa globale della vita umana nascente. Le fondatrici del movimento femminista americano, Susan B. Anthony (1820-1906) ed Elizabeth C. Stanton (1815-1902), erano tanto arrabbiate quanto antiabortiste. Lo ricorda bene oggi l’organizzazione Feminists for Life guidata da Serrin M. Foster e oggi lo dice finalmente anche il settimanale Time.
Marco Respinti
(tratto e adattato da «Bussola Quotidiana», 20 gennaio 2013)