Mettersi insieme? Sì, ma dopo?
“Mettiamoci insieme? Ma sì, mettiamoci insieme. Tu sei bella, ti amo. Tu sei un fusto, io ti adoro”. E così, dopo due complimenti e due baci, lasciano le famiglie d’origine e vanno ad abitare insieme, senza storie, senza carte di parrocchie, di municipi. Tutto più semplice… Però si dimentica che la convivenza è sempre un problema, un’arte, una virtù.
I due colombini, venendo da famiglie diverse, hanno diverse abitudini circa il vitto, il vestito, il lavoro, il riposo, l’ordine, il disordine, l’uso del denaro, la macchina, i rapporti con gli amici, il caldo, il freddo, il cane, il gatto ecc… Per convivere bene si dev’essere d’accordo su tutto, cioè una volta può prevalere il parere di lui e una volta quello di lei. E tutto questo non è facile. Ogni uomo è una ruota di orologio che ha i suoi denti e funziona bene solo con un’altra ruota, anche più piccola o più grande della stessa forma e distanza, altrimenti la convivenza non gira.
Perciò, prima di “mettersi insieme” bisogna assicurarsi che l’altra persona possa andare d’accordo nelle idee, nei gusti, nei progetti e abbia un carattere compatibile. La convivenza riesce bene solo quando è preparata bene. E questo vale anche per i matrimoni, con tanto di velo, di organo, di Sindaci, di Monsignori e di pranzo con 300 invitati, nel luogo più incantevole (e più costoso) del mondo!
L’abitudine prevalente del passato era del fidanzamento come un corso di preparazione al matrimonio. Ogni giovane viveva a casa sua e s’incontrava regolarmente col partner per un certo tempo e poteva capire se era bello e possibile fare insieme un progetto di vita. Nel fidanzamento c’era anche il controllo della fedeltà e se questa veniva meno si poteva rompere il fidanzamento e fare altre scelte. Il costume oggi, molto diffuso, di “mettersi insieme” senza adeguata preparazione è un grave errore, come avere la patente per guidare una motoretta e pretendere di guidare un aereo.
L’unione bisessuale che rifiuta il matrimonio religioso o civile è una fonte di disordini sociali. Se un tipo fa tre, sei, dieci unioni libere che ne farà dei suoi figli? Ci penseranno donne tradite o dovrà pensarci lo stato? Forse vuole imitare qualche sceicco (ricchissimo) che ha cinquanta figli avuti da mogli diverse?
E poi, nella convivenza libera, che voglia ci può essere di lavorare, risparmiare, progettare, costruire insieme una vita, quando tutto è collocato sulla sabbia del provvisorio? Chi ha la vista più corta si ferma al vantaggio di sciogliere facilmente questa unione provvisoria senza tante difficoltà legali: ma chi ha la vista più lunga sa che, anche se vi sono meno carte da firmare, le ferite nel pensiero e nel sentimento, specialmente se vi sono figli, sono lacerazioni e sofferenze a cui non si sfugge, e che spesso finiscono in tragedie morali.
Anche se, alla fine di tutto, sta il dilemma di credere se il mettersi insieme è una cosa seria oppure un gioco di sentimenti, di sesso e di divertimento assicurato.
don Lio