La tragedia di Parigi: «Ma c’è un confine che va rispettato»

giornaliIl vignettista Patrick Chappatte del «New York Times» in omaggio alle vittime e colleghi della follia terrorista di Parigi ha pubblicato un cartoon dove il soggetto dice «without humor we are all dead», senza umorismo siamo tutti morti. È tragicamente vero ma al tempo stesso dobbiamo porci una domanda: può l’umorismo non tenere conto della follia umana e della violenza irrazionale? Possiamo in nome della libertà di espressione e creativa dimenticare gli abissi che ancora ci sono fra le diverse forme della civiltà umana?

Chi di noi non ha usato lo scudo mimetico dell’umorismo per ferire un’altra persona, per difendersi dicendo «ma stavo scherzando!». L’umorismo quello vero, privo di malignità, l’umorismo solare sa fermarsi prima di trasformarsi in una pericolosa arma a doppio taglio. Tirare un calcio ad un cane che abbaia è sicuramente una cosa alla quale abbiamo pensato tutti ma pochi poi mettono in pratica questo desiderio. Il fondamentalismo e il terrorismo sono un cane che abbaia e morde anzi dilania. Prenderlo a calci a parole è una soddisfazione finché non entra dentro le nostre case.

Dobbiamo abbassare il capo e smettere di ridere? Certo che no, la libertà e la libertà dell’arte è anche quella di poter andare ben oltre i confini della diplomazia e della politica. Ma anche l’arte, la satira e l’umorismo devono ricordarsi che un invisibile confine c’è fra lo scherzo e lo sberleffo fra la risata ed il dispetto fine a se stesso che si autocompiace di aver avuto l’ardire di fregarsene della follia e della brutalità umana. L’orrore che proviamo davanti alla tragedia di «Charlie Hebdo» non deve farci dimenticare che civiltà significa anche responsabilità, equilibrio, lucidità e che coraggio e libertà non devono essere confuse con l’arroganza culturale ed intellettuale.

Quando gli Ottomani furono respinti dalle mura di Vienna i pasticcieri viennesi per celebrare la vittoria fecero le brioche a forma di luna crescente e per questo da allora si chiamano «croissant». Furono spiritosi ma i nemici erano sconfitti e in ritirata. Il nostro nemico, l’odio fondamentalista, è dentro le mura. L’umorismo e la satira devono servire a ricordargli che il cappuccino ed il croissant hanno imparato a stare bene assieme. Ammazzare barista e pasticciere non serve a nulla ma nemmeno inzuppare un croissant nel fango per far ridere la gente.

Francesco Bonami
(su «La Stampa» del 9 gennaio 2015)

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