La Parola della festa: “Farsi prossimo”

Parola della festaLa parabola che il Vangelo di domenica ci presenta parte da una domanda un po’ strana: «Maestro, che debbo fare per avere la vita eterna?». Strana, perché di regola noi facciamo al Signore domande ben diverse: «Per star meglio in salute, per riuscire nella vita, per avere più soldi, per far bella figura, per aver fortuna nel lavoro, nell’amore». Le domande che riguardano la vita eterna sono ben rare.

Gesù risponde: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». È una riposta vecchia, che già conosciamo e a cui purtroppo non facciamo più caso, perché la parola “amore” l’abbiamo consumata e sciupata in tutti i modi, anche se è l’unica risposta vera e concreta di Gesù che salva il mondo e noi.

Fin che si tratta di amare Dio, potrebbe essere ancora facile: è facile dirlo con la bocca; ma amare il prossimo complica un po’ la vita, per cui ognuno di noi risponde come gli pare e piace. Siamo tutti capaci e furbi abbastanza da sceglierci il prossimo, quello che più ci piace, ci conviene e ci interessa.

Gesù ci dice che noi dobbiamo farci prossimo per gli altri, per chi ha ferite morali o materiali da curare.

E cosa vuol dire farci prossimo per gli altri? Lo ricaviamo dai verbi che Gesù usa per presentarci l’operato del buon Samaritano, che non era né sacerdote, né levita e neanche un credente ebreo, ma faceva parte di un gruppo di ebrei che avevano travisato le leggi ebraiche e quindi erano malvisti da Israele. Quel samaritano (che poi è Gesù), «passando accanto al poveraccio…» – quante volte anche noi passiamo accanto a chi ha bisogno e non lo vediamo, siamo troppo presi dal nostro egoismo, dai nostri interessi – «lo vide»: ecco la prima cosa da fare. Saper vedere, accorgerci, renderci conto di chi soffre.

«Ne ebbe compassione»: impariamo a patire con gli altri, e capire le loro necessità e farle nostre. «Gli si fece vicino»: fin che noi non ci avviciniamo e tocchiamo le sue ferite, non capiremo mai. «Gli fasciò le ferite versandovi olio e vino, lo portò in un albergo e si prese cura di lui»: sporchiamoci le mani concretamente, facendo quello che è giusto e serve veramente: per non dire sempre solo belle parole che non servono a nessuno. «Tirò fuori due denari»: se siamo capaci di arrivare a questo punto, di toccare il nostro portafoglio, allora abbiamo già capito qualcosa dell’amore. «Va’ e fa’ anche tu lo stesso!»: è la frase che oggi dobbiamo portarci a casa scolpita nel nostro cuore e nella nostra volontà.

Chissà che non sia la volta buona che anche la nostra vita diventi più cristiana, perché non abbiamo avuto paura di ubbidire a questo comando di Gesù, che del resto è stato il primo a darci l’esempio. Inoltre, questa è una legge che è già scritta nei nostri cuori e non solo sui libri: basta aver voglia di saperla leggere e metterla in pratica.

don Lio de Angelis

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