Giustizia e Sedaqah

Nel cuore della saggezza di Israele troviamo un legame profondo tra fede nel Dio che «solleva dalla polvere il debole» (Sal 113,7) e giustizia verso il prossimo. La parola stessa con cui in ebraico si indica la virtù della giustizia, sedaqah, ben lo esprime.

Sedaqah infatti significa, da una parte, accettazione piena della volontà del Dio di Israele; dall’altra, equità nei confronti del prossimo (cfr Es 20,12-17), in modo speciale del povero, del forestiero, dell’orfano e della vedova (cfr Dt 10,18-19). Ma i due significati sono legati, perché il dare al povero, per l’israelita, non è altro che il contraccambio dovuto a Dio, che ha avuto pietà della miseria del suo popolo. Non a caso il dono delle tavole della Legge a Mosè, sul monte Sinai, avviene dopo il passaggio del Mar Rosso.

L’ascolto della Legge, cioè, presuppone la fede nel Dio che per primo ha ‘ascoltato il lamento’ del suo popolo ed è «sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto» (cfr Es 3,8). Dio è attento al grido del misero e in risposta chiede di essere ascoltato: chiede giustizia verso il povero (cfr Sir 4,4-5.8-9), il forestiero (cfr Es 22,20), lo schiavo (cfr Dt 15,12-18).

Per entrare nella giustizia è pertanto necessario uscire da quell’illusione di auto-sufficienza, da quello stato profondo di chiusura, che è l’origine stessa dell’ingiustizia. Occorre, in altre parole, un “esodo” più profondo di quello che Dio ha operato con Mosè, una liberazione del cuore, che la sola parola della Legge è impotente a realizzare. C’è dunque per l’uomo speranza di giustizia?

Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2010

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