Commenti sul Papa: finalmente un’analisi “furba”
Molto si è scritto, detto, proclamato via etere e via carta dal 13 marzo in poi, su Papa Francesco, su Benedetto XVI. Forse troppo. Chissà se in tanti sentiamo l’esigenza di una parola che corrisponda alla realtà dei fatti e delle cose. Al di là degli entusiasmi affrettati e dei rimpianti di parte. Andrea Tornielli sembra fornircela. Finalmente. Riportiamo volentieri, per questo, il suo articolo. (d. Mauro)
Le immagini dei due Papi, quello in carica e l’emerito, che si abbracciano, che pregano insieme uno accanto all’altro, che discutono amabilmente e si scambiano dei doni, sono destinate a rimanere scolpite nella storia. Mai era accaduto che un Pontefice si dimettesse per vecchiaia rimanendo ad abitare vicino al successore e vestendosi ancora da Papa. Mai era accaduto il vescovo di Roma avesse accanto l’emerito a cui fare riferimento e poter chiedere consiglio.
L’immagine dei due Papi vicini e vestiti uguali – la mantelletta e la fascia che portava Bergoglio e non aveva Ratzinger sono sottigliezze ininfluenti e persino inutili da sottolineare – ci parla di una realtà assolutamente inedita, nuova. E al tempo stesso, grazie alla sensibilità e all’umiltà di entrambi i protagonisti, di una realtà che ormai possiamo considerare «normale».
In questi giorni tanti commentatori hanno sottolineato gli elementi di novità nello stile del nuovo vescovo di Roma e la discontinuità con il predecessore. C’è chi si preoccupa per il fatto che il nuovo Papa incontra così tanta simpatia tra credenti e non credenti, quasi che l’unica vera attitudine cattolica debba essere quella di provocare malumore, contrasti, polemiche, antipatie. C’è chi è impegnato a ribadire che Francesco non è «pauperista», mettendo paletti politico-dottrinali ogni qual volta si nominano i poveri, come se Gesù non ne avesse parlato. O chi puntualia che il nuovo Papa è contro l’aborto (laddove la notizia ci sarebbe se fosse stato favorevole). Sull’altro versante, invece, si trovano quanti sottolineano la novità, non tanto per descrivere i gesti di Bergoglio e stare di fronte alla realtà, quanto piuttosto per contrapporlo al predecessore.
Già nelle prime ore dopo l’elezione sono cominciate a circolare le leggende metropolitane. Secondo una di queste, Francesco, subito dopo l’elezione, avrebbe rifiutato di indossare la mozzetta di velluto rosso bordata d’ermellino (sintetico) dicendo al maestro delle cerimonie pontificie Guido Marini: «Questa se la metta lei! Il carnevale è finito». Una battuta scortese, anzi villana, nei confronti del capo dei cerimonieri. Parole mai pronunciate. Francesco ha semplicemente detto a Marini che gli porgeva la mozzetta: «Preferisco di no». Nessuna battuta sul carnevale, nessuna umiliazione per l’obbediente maestro delle cerimonie.
Il chiacchiericcio sulla continuità-discontinutà in base a mozzette, ermellini e scarpe rosse, rischia di mettere in secondo piano la vera continuità tra Benedetto e Francesco. Una continuità riscontrabile in tanti passaggi e in tanti accenni e accenti che si sono ascoltati e visti in questi primi giorni di pontificato: l’umiltà, la coscienza che la Chiesa la conduce il Signore, il mancato protagonismo del Papa. Benedetto XVI disse all’indomani dell’elezione che «il Papa dove va far risplendere la luce di Cristo, non la propria luce», Francesco incontrando i giornalisti ha detto che il «protagonista» è Cristo, non il Papa.
Anche la sensibilità nei confronti della custodia della creazione – di cui l’uomo è il vertice – e della salvaguardia dell’ambiente, è un elemento che accomuna entrambi i Pontefici: Benedetto XVI si era infatti guadagnato la definizione di «Papa verde». Per non parlare del tema del carrierismo e della «mondanità spirituale» nella Chiesa: solo chi ha dimenticato le profonde omelie di Papa Ratzinger su questi argomenti – in occasione di concistori e consacrazioni episcopali – può pensare che non vi sia una sintonia. Solo chi non conosce gli scritti di Ratzinger sulla liturgia può pensare che al centro del suo messaggio e del suo pensiero ci fossero i pizzi, gli ermellini e i paramenti sempre più ricercati. E non l’essenziale dell’incontro con il mistero. Bergoglio, nel corso di una trasmissione televisiva di qualche tempo fa, ebbe a dire che la messa «non è una riunione di amici che vengono per pregare e per mangiare pane e vino… Con quanta grandezza un sacerdote deve prepararsi per celebrare la santa eucaristia».
Chi ha visto l’eccezionale filmato ripreso ieri a Castel Gandolfo, con il Papa emerito Ratzinger che indica al suo successore l’inginocchiatoio papale, e mentre vorrebbe mettersi in disparte viene preso per mano da Francesco che vuole pregare mettendosi accanto a lui perché «siamo fratelli», comprende benissimo la stima reciproca e la comunione profonda tra i due. Chi ha ascoltato la voce di Francesco che donandogli l’icona della Madonna dell’Umiltà dice al suo predecessore: «Ho pensato a lei, perché durante il suo pontificato ci ha dato tanti esempi di umiltà e tenerezza», non ha dubbi nel riconoscere proprio nell’umiltà una delle cifre comuni tra i due.
Le immagini da Castel Gandolfo smentiscono dunque sia i cantori della discontinuità, che per arruolare il nuovo Papa ironizzano sull’emerito, sia quegli ambienti sedicenti «ratzingeriani» che per esaltare Benedetto XVI hanno cercato di screditarne il predecessore Wojtyla e il successore Bergoglio.
Nell’umiltà di quell’abbraccio entrambi sembrano suggerire che non sono loro i protagonisti e che il compito della Chiesa – come entrambi hanno più volte ricordato – è quello di riflettere una luce non sua.
Andrea Tornielli
(tratto da: Vatican Insider)