Ancora sui migranti: la sessualità, un fronte ignorato
Se leggi queste righe, puoi appartenere a due categorie di persone: quella – sicuramente maggioritaria – che è arrabbiata a morte per la situazione venutasi a creare con “l’invasione” dell’Africa nel nostro paese, oppure sei della categoria minoritaria che si schiera per l’accoglienza. Volevo condurti per una terza via che non è molto frequentata, perché richiede tempo e riflessione e di tutt’e due ne siamo carenti.
Facciamo subito una premessa largamente condivisa sia dalla maggioranza e sia dalla minoranza: il problema delle migrazioni diventerà sempre più grande, totale e globale. Questo “problema” – chiamiamolo così – si può affrontare dal punto di vista economico, ossia se i migranti sono utili o meno al futuro delle nostre imprese e alle casse dell’INPS. Si può esaminarlo da un punto di vista etico, discutendo se è giusto o immorale, rifiutare l’asilo a chi fugge da situazioni difficili. Si può affrontare il problema migratorio dall’osservatorio politico: quanti voti mi danno se dico di no, oppure quanti punti percentuali perdo, se dico di sì.
C’è poi una terza via che parte da un dato di fatto: i migranti sono già tra noi. Sovente le nostre battaglie si esauriscono nella diatriba nazionale e internazionale:se una nave deve attraccare a Trapani, a Barcellona o a Malta. Il problema di cosa farne una volta qui da noi, in Europa … passa in secondo ordine. La Germania spende molto per l’assistenza e l’accoglienza – e ora anche lei ha dei problemi all’interno della coalizione – ma dedica miliardi di euro per la integrazione. La Germania ne vuol fare cittadini tedeschi, ingegneri tedeschi e medici tedeschi.
La terza via per l’Italia è di pensare seriamente al problema dell’integrazione, lasciato, tranne che per qualche lodevole tentativo, all’iniziativa di pochi volontari. Mi accorgo che arrivo solo ora ai problemi relazionali del richiedente asilo, e in particolare sul fronte della sessualità di cui volevo parlarti. Sovente ci limitiamo a condannare le inqualificabili manifestazioni animalesche di violenze e stupri compiuti dai migranti (quelle perpetrate dai nostri giovanotti italiani sono declassate al rango di “ragazzate”…ma questa è un’altra storia). Effettivamente da qualche tempo si vanno ripetendo efferati episodi di questo tipo. Non voglio sminuire la gravità dei fatti né tantomeno giustificarli. Sto però pensando ai gruppi sovraffollati di giovanotti africani e non, “rinchiusi” in strutture per settimane o mesi… Diecine di maschi, sistemati in una casa, senza quasi mai vedere e parlare con nessuno tranne che con i volontari o le volontarie. Nasce in loro un senso d’isolamento, di frustrazione e d’incertezza senza poterlo condividere. I sogni spezzati, le speranze del futuro chiuse nella propria mente e non raccontate; i ricordi tragici della traversata del deserto – dove ne muoiono, ricordiamocelo, più che nel Mediterraneo –, le torture delle prigioni libiche, la terrificante esperienza del viaggio su pericolosi e fatiscenti barconi in mare alla ricerca di qualcuno cui affidare la propria vita. Ricordi che popolano di incubi le notti su una brandina. Giorni e settimane che accumulano il desiderio irresistibile di uscire, di sfogarsi, di piangere, di urlare… E poi un giorno tutto può scatenarsi quando questi ragazzi scendono in città. Anche la sessualità repressa, come una pentola a pressione, rischia di esplodere…
Non conosco la soluzione se non quella di accompagnare queste persone in un cammino di relazioni positive e gratuite, prima che la situazione ci sfugga di mano. La non integrazione sovente sfocia nella rabbia e nella rivolta. La non integrazione genera malcontento e rivolta. Mettiamola così: o li integriamo o ci stiamo preparando un covo di vipere e di potenziali terroristi. Francia e Belgio insegnano…
fratel Ettore Moscatelli