Accoglienza e Verità
C’è un termine che il Santo Padre ha più volte utilizzato: “accoglienza”. Ho molto pensato al rapporto che intercorre tra accoglienza e verità e mi faccio aiutare da un’immagine molto efficace evocata più volte dal Pontefice: quella dell’ospedale da campo.
Occorre per prima cosa fare una considerazione. Siamo in guerra, la vita stessa è una guerra che genera un numero impressionante di feriti (forse in qualche modo lo siamo tutti). Feriti che devono e vogliono essere soccorsi ed ogni volta che impariamo a curare certe ferite ecco una nuova guerra che ne crea di terribili e mai viste prima. Sono ferite che vanno in profondità nell’animo e, poiché siamo un tutt’uno di anima e corpo, hanno profondi riflessi anche su quest’ultimo.
Quando sento parlare di verità che deve essere sempre detta e richiamata non posso che essere d’accordo e credo però si debba al contempo fare attenzione. Provo a spiegarmi ed utilizzo sempre l’ambientazione dell’ospedale da campo.
Ad un ferito che giunge alle tende di soccorso nessun dottore si sogna di dire immediatamente la verità (tipo che sta per morire o che magari non camminerà più o anche solo quanto è grave la sua ferita). No, la cosa potrebbe avere effetti deleteri e addirittura controproducenti e comunque equivarrebbe semplicemente a gettare sale su di una ferita aperta… a provocare dolore, tanto dolore e probabilmente tanta rabbia. Un ferito che ha necessità immediata di cure non desidera la verità, almeno non subito, desidera che il dolore cessi e che qualcuno si prenda cura di lui. Qualunque ferito, anche il più grave, ha bisogno di essere rincuorato, confortato e sentirsi dire che se la caverà, fosse anche in fin di vita.
Il ferito va accolto, sostenuto e assistito perché possa tranquillizzarsi dopo lo shock e riacquisire le forze. L’accoglienza è indispensabile e nello stesso tempo è quanto basta per prendersi cura immediatamente di un ferito. Ma se, come scritto sino ad ora, è necessario accogliere, deve essere altrettanto necessario che al ferito venga prima o poi comunicata la verità.
Infatti, chi ha ricevuto una ferita, dopo essere stato stabilizzato, ha necessità di conoscere la verità sulla sua condizione. Deve conoscerla, perché da quella dipende il suo futuro ed in definitiva la sua vita. Deve saperlo, sia che la sua sia una ferita lieve, sia che sia un vulnus mortale, perché dire la verità significa comunque dare a quella persona una possibilità di giocarsela nel poco o tanto tempo che le rimane. L’ospedale da campo ha infatti connotazione provvisoria, nessun paziente potrà rimanere lì per sempre, qualunque sia l’entità della sua ferita, e dovrà prima o poi ritornare al fronte.
La verità è un atto di profonda carità perché significa togliere la persona da quella mentalità che le fa credere che sia la ferita a dire tutto su di sé. Una ferita non esaurisce la persona: certo la può fiaccare, la può avvilire, ma non dice l’ultima parola su di lei. Per questo però è richiesto che a questa sia detta la verità, tutta la verità, con tempi e modi rispettosi della sua condizione e della sua sensibilità; ma va comunque fatto.
L’accoglienza è il primo balsamo, ma la verità rappresenta il requisito imprescindibile affinché la persona possa essere libera. La Verità rende liberi, diceva un Tale circa duemila anni fa.
Andrea Musso