Le stupide zucche di Halloween
Si sono appena spente le stupide zucche di Halloween che è già ora di accendere i lumini dei ricordi e delle preghiere per i nostri morti. Ma perché morire? Perché soffrire? A che pro, il calvario della malattia, delle trafile negli ospedali, che senso ha la morte dei bambini?
Ad Auschwitz, in una delle tante decimazioni dove per rappresaglia veniva “scelta” una persona su dieci alla fucilazione, la sorte cadde su un ragazzo, poco più di un bambino che uscì dai ranghi per andare al muro. Qualcuno bisbigliò sottovoce: «Se Dio esistesse, non permetterebbe tutto questo…!». Si udì la risposta di un altro: «Invece Dio esiste: guardalo lì, è quel ragazzo che va a morire!».
La bestemmia più ingiuriosa e grave che l’uomo possa pronunciare è questa: «Se Dio esistesse, non permetterebbe tutto questo…!». Il dolore degli innocenti, come la morte e la sofferenza specie dei più deboli, è un mistero a cui non sappiamo rispondere. Anche Cristo grida sulla croce, di fronte alla ferocia dei suoi carnefici: «Elì, Elì, lamà sabactàni?» cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46).
Lo stesso Gesù di Nazaret, dovendo un giorno incrociare nel villaggio di Naim il funerale di un ragazzo (Lc 7,11), non resiste alla vista dello strazio della mamma e le regala il figlio nuovamente in vita. Aveva ragione Marta, la sorella di Lazzaro a rimproverare Gesù della sua assenza durante l’agonia e la morte del fratello: «Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto» (Gv 11,21). Anche noi di fronte alla morte o alla malattia di un nostro congiunto gridiamo: «Signore, se tu esistessi davvero, mio fratello non patirebbe tanto» e spesso aggiungiamo: «Mio fratello è sempre stato un uomo onesto e deve soffrire, mentre i delinquenti se la spassano… ma perché proprio a lui questa malattia e non a loro?». Riusciremmo a capire un Dio che castiga i cattivi, ma non gli perdoniamo che non impedisca il dolore degli innocenti e delle persone oneste.
È un dio minuscolo e pagano quello che castiga e fulmina i cattivi e colma di favori i bravi, sempre pronti a fare ricche offerte. Una sorta di idolatria verso un dio antropomorfo, fatto a immagine e somiglianza nostra che si arrabbia se ci comportiamo male, ma che è propenso a distribuire miracoli come caramelle ai suoi preferiti. La nostra religiosità a volte fa pensare a una faccenda tutta personale intesa come un orticello interiore che ogni tanto ci fa isolare in una quiete mistica che fa bene al cuore e all’anima come un soggiorno alle terme fa bene al corpo. Un dio talismano magico e guaritore come il rosario anti-incidente stradale appeso allo specchietto retrovisore, o il segno affrettato di croce dell’attaccante che scende in campo affinché Il Signore lo aiuti a trovare la via del gol. Ve li ricordate i santini trovati nelle tasche di Provenzano e nel portafoglio di Totò Riina per proteggerli (sono parole autentiche) «dalle persecuzioni dei carabinieri»?
Il nostro Dio – e questo per noi è un intoppo, un ostacolo alla fede – il nostro Dio è colui che cerca la pecorella smarrita (Lc 15,4), che se la prende in braccio e la porta al sicuro nell’ovile. Il Padre nostro misericordioso (Lc 15,11) attende il ritorno del figliolo fuggito di casa per abbracciarlo e ridargli i calzari, i vestiti e l’anello della dignità perduta. A volte noi, come il figlio maggiore, non condividiamo questa logica paradossale. Preferiremmo di gran lunga un dio vendicativo che punisce il malvagio: un dio praticamente simile a noi che mandiamo maledizioni, iatture e malefici ai nemici riservando affetto solo per gli amici. «Ma questo, lo fanno anche i pagani!» (Mt 5,47b), ci provoca Gesù! Evidentemente la logica di Dio è diversa. «Egli fa piovere sui giusti e sugli ingiusti e fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi» (Mt 5,45).
L’altro giorno a Concesio, in quel di Brescia dove son nato ed ho trascorso la mia infanzia, incontrando un coscritto che non vedevo da 60 anni!… si parlava dei ricordi delle elementari e dell’asilo, e… naturalmente si faceva la conta dei morti. Vi dico questo perché mi ha colpito l’espressione con cui li definiva. Li chiamava così: «quelli che sono andati avanti». Noi, i viventi, siamo i ritardatari perché la nostra patria è il cielo, è il Paradiso: la casa del Padre!
Dimenticate le stupide zucche di Halloween, accendo un lumino rosso sul balcone della mia finestra perché «i nostri morti – diceva mia mamma buon’anima – dal Paradiso vedono dove stiamo e si ricordano di noi!».
Ettore Moscatelli, fsf