La “Passione” per la famiglia
Dopo il primo degli incontri dei “Lunedì di Quaresima”, organizzati insieme dalle parrocchie di Santena e di Cambiano, in molti si sono complimentati per l’intervento-catechesi che Andrea Musso e la moglie Elisa Polla hanno tenuto nella chiesa di Case Nuove il 23 febbraio. Ne riportiamo volentieri il testo integrale, per chi volesse rileggerlo e continuare la riflessione. Grazie ad Andrea ed Elisa per il loro contributo di fede e testimonianza.
Il brano del Vangelo di Giovanni che racconta le Nozze di Cana è un brano che probabilmente molti di noi hanno già sentito diverse volte. E potremmo essere portati a pensare che di questo brano, come di quelli più conosciuti dei Vangeli, non ci sia più molto da dire o da comprendere. Dobbiamo però tenere presente che la parola di Dio è una compagna fedele e paziente e ci accompagna lungo tutta la nostra vita e per ogni fase della nostra vita ha qualcosa da dirci e da insegnarci. Così è anche per questo brano di Vangelo: alcune delle cose che io dirò a voi stasera, ad esempio, le ho comprese solo nel momento in cui ho dato vita insieme a mia moglie a una nuova famiglia a cui si è poi aggiunta una figlia e se Dio vorrà anche altri.
1. La prima cosa che vorrei sottolineare è che nel Vangelo di Giovanni la prima manifestazione, cioè il primo miracolo di Gesù, avviene durante una festa di nozze, cioè quando sta nascendo ufficialmente una nuova famiglia. E non è un caso. Sin dall’inizio della Bibbia è chiaro che Dio ha a cuore il destino della famiglia. All’atto della creazione, nel creare l’uomo a sua immagine e somiglianza, la Bibbia dice testualmente: “maschio e femmina li creò”.
Cosa significa questo? Che Dio ha a cuore le sorti della famiglia sin dal principio. Che l’atto di fondare una famiglia è secondo il volere di Dio. Anzi che l’agire di Dio in qualche modo è strettamente connesso alla famiglia. Pensiamo ad esempio ad alcuni passi dell’Antico Testamento, iniziando dalla Genesi per poi passare attraverso la vicenda di Abramo e Sara, oppure al libro di Tobia o al Cantico dei Cantici, un vero e proprio inno all’amore umano.
Inoltre abbiamo da poco celebrato il Natale e lì abbiamo ricordato che Dio si è fatto carne, è sceso in mezzo a noi e nel farlo ha scelto la storia di due promessi sposi, Maria e Giuseppe, si è unito alla loro storia, è entrato nel loro sogno e nel loro avvenire. Due persone con un sogno di normalità per la loro famiglia, una casa, una quotidianità fatta di lavoro, sacrifici, impegno e amore reciproco, dei figli (e sappiamo che presso gli Ebrei le famiglie numerose erano considerate una benedizione) da educare e crescere, e ai quali trasmettere poi un mestiere, il proprio nome e la propria discendenza. Non dobbiamo quindi stupirci se il primo miracolo avviene proprio durante un matrimonio, nel momento in cui è nata una nuova famiglia.
Anzi, il fatto che Colui che si è fatto carne, e si è reso visibile e tangibile ai nostri occhi, sia presente a quelle nozze ci dice anche che il matrimonio e quindi la famiglia rimandano a un qualcosa di più, sono un mezzo con il quale Dio si rende visibile, e manifesta la sua presenza. Insomma, in poche parole la famiglia ci parla di Dio, ci dice molto del suo agire. All’interno di una famiglia, i gesti quindi rivelano qualcosa di Dio. Lo possiamo capire bene perché quando diamo una carezza a qualcuno non compiamo solo un gesto, ma sfioriamo la sua anima, tocchiamo delle corde profonde.
Così l’amore del marito nei confronti della moglie, e viceversa, testimonia quell’alleanza che ci parla della fedeltà di Dio. L’amore di un papà e di una mamma verso i figli rivela l’amore incondizionato, la tenerezza, la pazienza, la premura, l’ostinazione, a volte la sofferenza stessa di Dio per noi. E lo stesso vale per i figli nei confronti dei genitori, il rispetto, la devozione e l’obbedienza e talvolta la disobbedienza dicono molto del rapporto con Dio.
2. Ma la presenza del Signore alle nozze di Cana ci suggerisce ancora un’altra cosa. Possiamo immaginare, e molti di noi ci sono passati, cosa abbiano pensato quegli sposi il giorno del loro matrimonio. Tanti progetti, tanta emozione, tanta felicità, buoni propositi e visioni ottimistiche del futuro insieme. Ed è giusto che sia così. Il fatto che appunto il Signore sia presente in quel momento al costituirsi di un nuovo nucleo familiare ci dice che Dio è dalla nostra parte, condivide il nostro proposito di donarci l’uno all’altro e di accoglierci vicendevolmente, il nostro desiderio di essere una famiglia e di unire le nostre vite affinché sia possibile portare frutto e rispondere insieme a quella universale vocazione alla santità alla quale tutti siamo chiamati.
E noi cristiani questo dovremmo comprenderlo bene e forse ricordarcelo un po’ più spesso perché il giorno in cui abbiamo pronunciato il nostro “sì” davanti a Dio e agli uomini, tra i tanti invitati ve ne era uno, che è il più importante di tutti, anzi è Colui che ha benedetto la nostra unione e non manca di ricordarci che Lui è con noi sin da quel momento, anzi che ci ha guidati l’uno nelle mani dell’altra, e quel qualcuno è proprio Cristo.
La domanda che in fondo ci viene fatta è questa: Gesù è presente nella quotidianità della nostra famiglia? O è un qualcuno che viene nominato di tanto in tanto, di cui ci si ricorda nelle occasioni programmate, come ad esempio quella di questa sera? O è invece il perno che regge la nostra famiglia? Colui al quale chiediamo perseveranza nella fedeltà, costanza nell’amore, forza nella tribolazione? Preghiamo con le nostre spose o i nostri sposi? E con i nostri figli? Sono domande importanti perché dalle risposte dipendono molte cose.
Sì, perché l’evangelista Giovanni ci dice che a un certo punto della festa di nozze viene a mancare il vino. E a questo punto vale la pena ricordare il significato del vino: in una festa il vino è ciò che porta e dona allegria, potremmo dire che è la benzina che alimenta il motore di quel momento di gioia e ne sottolinea l’importanza. Ebbene, ogni famiglia ha bisogno di questo vino, di questo qualcosa che la alimenti e la renda luogo di gioia e fecondità. E quando questo qualcosa viene a mancare?
Possiamo immaginare la festa e, al culmine della felicità, magari proprio al momento del brindisi, viene a mancare il vino. C’è un momento di attesa, di incertezza, anche di paura per quello che potrà accadere. Così può succedere nella storia di ogni famiglia che venga a mancare il vino, cioè che la vita si carichi di croci (piccole o grandi che siano) e per la famiglia possono essere davvero tante.
La sofferenza, la malattia di una persona cara, una sposa, uno sposo o addirittura un figlio, le incomprensioni tra marito e moglie, la perdita di quella complicità che tanto giovava alla coppia, le incomprensioni e delusioni con i figli, la difficoltà nell’educarli, oppure i figli che non arrivano o che se ne sono andati, le difficoltà portate dai rapporti con altri familiari e ultima ma non per importanza la mancata condivisione di una fede, di una vita di preghiera. Croci che a volte provengono dal di dentro, ma croci che spesso sono caricate sulle spalle delle famiglie dall’esterno. Pensiamo alle difficoltà economiche che gravano su chi ha o decide di metter su famiglia, le difficoltà sul lavoro o le difficoltà legate al non avere un lavoro – quante famiglie specialmente in questi anni soffrono per questo!
E ancora: la delegittimazione continua che la famiglia subisce da parte di tante istituzioni, non solo a livello economico, ma soprattutto a livello educativo, che si manifesta escludendo o non coinvolgendo i genitori nelle decisioni, laddove i primi responsabili dell’educazione sono proprio loro. La piaga dell’aborto e quella della pratica dell’utero in affitto dove i figli sono ridotti a prodotti da vendere, comprare e scartare se non piacciono più.
Tutte queste cose che vi ho elencato e molte altre cose (che ognuno di noi porta nel cuore) sono croci che quotidianamente le famiglie, le nostre famiglie portano sulle spalle. Sono croci che ci fanno mancare quel vino, quella fonte di gioia che avevamo assaporato e che ora non riusciamo più a gustare e ritrovare.
La prima tentazione di fronte a questa “passione” (perché spesso è un vero e proprio calvario) è quella di chiuderci nel nostro dolore, tanto nessuno può capire, tanto meno Dio. Anzi forse la prima tentazione in assoluto è quella di prendersela con Dio! “Ma come! Io ho fatto tutto, ci siamo sforzati, ci siamo impegnati, ci siamo messi nelle Tue mani e questo è il risultato?” Capita di arrabbiarsi con il Signore, è umano, è normale, posso garantirlo. Ma non dobbiamo spaventarci: Lui era lì prima, c’è durante e ci sarà dopo, con pazienza ascolta attento. Resta però il fatto di come chiedere aiuto? Come fare?
Dicevamo che una delle prime tentazioni è quella di chiudersi, di pensare che il problema sia solo nostro, di escludere che Dio possa aiutarci. E in effetti nel brano del Vangelo nell’immediato nessuno chiede aiuto, tanto meno a Gesù. Curioso però che la prima ad accorgersi del fatto che durante la festa sia finito il vino sia proprio Maria, una donna.
Il vangelo di Giovanni in particolare ha pagine bellissime riguardo alle figure femminili e particolarmente nei confronti di Maria, e questo ci ricorda una cosa importante sul ruolo delle donne nella famiglia: esse sono le custodi dell’intimità più profonda di una famiglia, custodi delle gioie, delle fatiche e delle sofferenze, capaci di comprendere tutto da uno sguardo anche là dove noi uomini pensiamo non possano vedere. Ed è Maria, che nel Vangelo di Giovanni è il modello del perfetto discepolo, che trova la forza per chiedere aiuto al Signore, per suscitare il suo intervento e il suo aiuto.
Impariamo dunque alla scuola di Maria a inginocchiarci davanti a Dio. Dico “scuola” perché non ci si improvvisa discepoli, siamo infatti di fronte alla chiamata che ci è stata fatta dal Signore prima come singoli e poi come famiglia. Ma come abbiamo coltivato il nostro essere discepoli? E prima ancora? Siamo coscienti di esserlo? Con la frequentazione assidua della parola di Dio, con i sacramenti che nutrono la vita cristiana e anche con le opere di carità: non servono cose straordinarie, perché penso che la vita in famiglia ci offra già continuamente occasioni per fare esercizio di carità.
Impariamolo insieme, come una vera famiglia, dove ognuno risponde alla propria vocazione: dove le donne ne custodiscono il cuore e gli uomini la difendono e proteggono. E come Maria impariamo ad essere insistenti, di fronte al primo rifiuto di Gesù – ella infatti insiste e dice ai servi: «fate tutto quello che vi dirà» –: impariamo a metterci nelle mani del Signore, e a obbedire come fecero i servi, anche quando (ed è la maggioranza delle volte) non comprendiamo, non riusciamo a vedere un’uscita e ci pare che ci venga chiesto troppo, che ci venga chiesto qualcosa al di là delle nostre possibilità.
Infatti di cosa si serve il Signore per operare il miracolo se non delle nostre povertà? Come nel Vangelo si serve semplicemente delle sei giare di acqua che i servi dicono di avere a disposizione e che dice loro di riempire sino all’orlo, così noi possiamo offrire al Signore tutte le nostre povertà e debolezze, le cadute, le difficoltà, le incomprensioni, le sofferenze, fisiche e morali, quelle che abbiamo causato e quelle che ci sono state inflitte. Nel libro della Genesi Giuseppe venduto schiavo in Egitto afferma al termine della sua vicenda che Dio ricava il bene dal male. Ebbene, Giovanni nel suo vangelo ci ribadisce proprio questo, che il Signore e Lui solo può sollevarci dalla polvere a partire da noi stessi e dai nostri peccati, anzi che spesso le prove sono la porta attraverso cui il Signore fa breccia nelle nostre vite.
Impariamo a invocare l’aiuto del Signore, impariamo a fidarci di lui, impariamo a mettere nelle sue mani le nostre povertà così come i servi hanno messo a sua disposizione le giare di acqua. Non saremo delusi; anzi, Cristo saprà darci quel vino nuovo, che alimenta la nostra vita, saprà far ritornare la gioia laddove si era spenta e pareva perduta. E lo farà in abbondanza. Ancora una volta è il Vangelo a indicarcelo: quando il maestro di tavola assaggia l’acqua tramutata in vino, si meraviglia per la bontà di quel vino e loda lo sposo perché ha tenuto la parte migliore per la fine del banchetto. Così è anche per noi e per le nostre famiglie: impariamo a metterci nelle mani di Cristo e lui saprà farci portare frutto in abbondanza, più e meglio di prima. Penso che tutti abbiamo in mente almeno una testimonianza di coppie e famiglie che, seppure sposate da tanto tempo, paiono ogni giorno più forti, più unite e radicate in quell’amore che solo il Signore può donare.
E non solo questo, il Vangelo ci suggerisce che la fonte stessa della fecondità di una famiglia è Cristo, è Lui il vino nuovo di cui ha bisogno la famiglia. Capiamo allora che, se da un lato il segno più evidente della fecondità di una coppia sono i figli, dall’altra la fecondità di una famiglia non si esaurisce assolutamente in quello. Chiediamo al Signore questa grazia, la grazia di invocarlo come famiglia, genitori, figli, familiari tutti, affinché sappia operare miracoli per noi, con noi e soprattutto attraverso di noi, così da poter illuminare altri lungo il cammino. Infatti il Vangelo ci racconta ancora che grazie al miracolo delle nozze di Cana i «suoi discepoli credettero in lui».
Questo dunque ci chiede il Signore: di rivolgerci a Lui perché con Lui e in Lui possiamo divenire «ecclesia domestica» cioè piccola chiesa domestica come la madre Chiesa ha sempre definito la famiglia.
E non è un caso che nel Vangelo di Giovanni ritroviamo ancora una volta Maria insieme a Gesù ai piedi della croce. Forse è un azzardo, ma anche lì ai piedi della croce vi è una famiglia rappresentata. Abbiamo Maria, madre del Salvatore e madre nostra, abbiamo il figlio Gesù che si offre per i nostri peccati e abbiamo il Padre nei cieli sotto il cui sguardo tutto accade. Ebbene, questa immagine ci richiama ad un’altra famiglia di cui tutti siamo parte dal giorno del nostro battesimo e in cui tutte le nostre famiglie sono comprese e si riconoscono, la grande famiglia della Chiesa, che ha il compito e la vocazione di generare alla fede. E lo si vede quando Gesù dall’alto della croce dice a Maria: «Donna, ecco tuo figlio» e al discepolo amato: «Figlio, ecco tua madre». La Chiesa genera alla fede così come la famiglia può generare alla vita, ma il primo luogo in cui il seme della fede viene piantato è proprio la famiglia, il prototipo della Chiesa tutta, la piccola Chiesa domestica.
Possa la consapevolezza di questo grande dono della famiglia, e al contempo di questa grande responsabilità affidataci, guidarci in questo cammino quaresimale infondendoci coraggio per le sfide e fatiche che come famiglie stiamo affrontando e dovremo affrontare.
Invochiamo in particolare l’intercessione di Maria, madre della Chiesa, per noi e le nostre famiglie. E affidiamo anche all’intercessione di S. Giovanni Paolo II, che a ragione è stato definito il “Papa della famiglia”, il prossimo Sinodo sulla famiglia che si terrà nell’autunno di quest’anno a Roma, perché sappia riproporre con forza a questo nostro mondo la bellezza e la grandezza della famiglia, prima culla del Vangelo. Amen.
Andrea Musso
Elisa Polla