“Cara, compriamo un bambino?”
A volte, la realtà supera davvero la fantasia. È il caso di questa vicenda di cronaca, che affonda le radici nel 2010, quando una coppia di coniugi italiani di 55 e 43 anni, non potendo avere figli in modo naturale a causa dell’infertilità della donna, si è recata in Russia per usufruire della pratica dell’utero in affitto (vietata e punita in Italia).
In parole povere, la coppia ha comprato il materiale biologico (ovuli e spermatozoi) da altri genitori biologici e ha pagato una gestante perché portasse avanti la gravidanza. Nel 2011 la coppia ha ricevuto il bambino. Il prezzo del bambino (è allucinante usare questo termine, ma di prezzo si tratta) è stato di 50.000 euro, tutto compreso.
I pubblici uffici italiani hanno respinto la richiesta dei coniugi di trascrivere l’atto di nascita del bambino, che non aveva legami biologici con nessuno dei due genitori “putativi”.
Contro i coniugi è stata così aperta una procedura di modifica dello stato civile, nel corso della quale i giudici italiani, in considerazione dell’interesse superiore del bambino e del comportamento illegale della coppia, hanno deciso di rimuovere il minore da quel contesto per affidarlo ai servizi sociali. Dal gennaio 2013 il bambino vive con una nuova famiglia, individuata secondo tutti i criteri di garanzia e adeguatezza richiesti dalla legge. Del resto, se per adottare un bambino una coppia deve passare un serratissimo vaglio circa le proprie capacità psicologiche e umane, sembra abbastanza evidente che un uomo e una donna che considerano “proprio” figlio un bambino concepito con ovuli e spermatozoi provenienti dal di fuori della coppia e partorito da un’altra donna ancora… e pagato… forse non hanno caratteristiche adatte per essere padre e madre equilibrati e consapevoli di cosa significa “avere” un figlio!
I coniugi hanno allora fatto ricordo alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ed eccoci all’attualità: con un’incredibile sentenza, il 27 gennaio 2015 la Seconda Sezione della Corte ha condannato l’Italia al pagamento di 30.000 euro di danni e rimborsi a favore della coppia. La Corte ha ritenuto violato il diritto dei coniugi alla vita privata familiare.
Dopo aver ribadito che, in teoria, ogni Paese è libero di valutare autonomamente la questione della liceità dell’utero in affitto, e che i coniugi hanno effettivamente messo in pratica un comportamento illegale secondo il diritto italiano, la Corte ha però ritenuto non proporzionata la decisione di allontanare il minore dalla coppia, poiché i mesi di convivenza avevano creato, di fatto, uno stato familiare di per sé degno di tutela nell’interesse del minore.
Come hanno fatto notare alcuni giudici dissenzienti, se gli Stati non sono liberi di negare alla pratica dell’utero in affitto qualsiasi effetto giuridico nel proprio ordinamento, la loro autonomia è allora sostanzialmente nulla.
Ma soprattutto, la sentenza della Corte ha un significato ben più grave, che non riguarda la sovranità degli Stati di fronte all’Europa: se una coppia, che vive in un paese dove non è legale la maternità surrogata, va ad acquistare un figlio all’estero non incorre in nessuna sanzione, come se l’inesistente diritto ad avere un figlio fosse più importante dei diritti del bambino.
Con questa sentenza, la CEDU ha creato un regime di tolleranza legale intorno alla barbara pratica dell’utero in affitto.
E poi non si vada a dire che Dio va esonerato dalla vita pubblica: se lo togliamo da questo orizzonte, chi metterà un limite alle aberrazioni umane? Povera Europa…
don Camillo
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