Cammino di Santiago: una giovane si racconta…
Cippo n° 151: O’ Cebreiro, Pirenei. Dopo un giorno di viaggio e una sosta a Roncisvalle, da qui ha inizio il pellegrinaggio organizzato dalle Parrocchie di Santena e Cambiano, a cui si sono aggiunti membri delle parrocchie di Poirino, Sant’Anna (Torino) e Moncalieri. Partiti su un camper e due furgoni il 10 agosto da piazza Martiri, a Santena, hanno compiuto a piedi gli ultimi 151 chilometri del Cammino di Santiago e, durante il viaggio di ritorno, si sono concessi una tappa di due giorni a Lourdes.
La combriccola è formata da ventidue compagni, per la maggior parte giovani fra i diciotto e i trentacinque anni, ma a camminare sono “solo” diciannove: tre di loro, i “veterani” del Cammino Silvia Capuzzo, Ivano Arduini e Luciano Arduini li precedono a ogni tappa con i mezzi di trasporto e, ogni giorno, si occupano di rifocillarli all’arrivo. Tra i camminatori, invece, ci sono le guide spirituali, i viceparroci di Santena e Cambiano don Mauro Grosso e don Martino Ferraris, briosi e desiderosi di trasformare queste giornate in momenti speciali.
I motivi che spingono tutti a intraprendere questo viaggio sono fra i più disparati: sfida con se stessi, desiderio di trovare risposte a domande più grandi di sé, bisogno di fare silenzio nella propria mente, semplice curiosità e, in molti casi, la Fede. Tutte motivazioni
abbastanza forti da spingere a imbarcarsi in un’esperienza che non è la comune vacanza al mare, non garantisce comodità, né relax. La giornata del pellegrino, infatti, è tutt’altro che rilassante. Ogni mattina sveglia alle sei in un letto a castello, poi subito a camminare, dalle sette e mezza fino alle nove, quando ci si ferma lungo il sentiero, in qualche spiazzo erboso o chiesetta, per le Lodi mattutine. Terminata la preghiera, si riprende il cammino e, da questo momento fino all’arrivo, di solito verso l’una, non ci si ferma. Il pomeriggio è dedicato al riposo in ostello, alle partite a briscola e al medicamento di vesciche e ginocchia malandate, finché, verso sera, non si assiste alla Messa e ai Vespri. E, dopo cena, chiacchierate, giochi a carte e “Cerveza”.
Una vita faticosa, quella del pellegrino, ma all’insegna della semplicità.
Cadute le barriere della diffidenza e del timore e franata la facciata che ci costruiamo (anche fisicamente, intendendo i cosmetici delle ragazze), diventa semplice relazionarsi con gli altri, parlare con i compagni, soprattutto lungo il viaggio mattutino, quando il gruppo si disperde: ci si trova a condividere con una o due persone sentimenti, idee, esperienze della propria vita anche forti e ci s
i confronta, ci si lambicca il cervello e il cuore su questioni cosmiche senza necessariamente trovarvi un senso, si ride, certamente, e si canta in piazza davanti a una chitarra. Diventano semplici i piaceri (si scopre il valore delle infradito, di un letto, della pastasciutta e della doccia) e i ritmi rallentano, lasciando spazio alla conoscenza di se stessi e degli altri ed eliminando, a poco a poco, il senso di smarrimento e di solitudine che, a volte, si può provare nella vita quotidiana.
Anche nei momenti di difficoltà, fisica e spirituale, i pellegrini non rimangono soli, né si arrendono subito. Ragazzi con le vesciche, le caviglie o le ginocchia doloranti decidono di andare avanti: li spingono forza di volontà e determinazione.
Un po’ come se ripercorressero con l’esperienza del proprio corpo quello che può capitare con la Fede: allontanarsi, dubitare di tutto e poi ritornare, non perché si è avuta un’illuminazione, ma semplicemente perché lo si è voluto. In questo sta uno dei segreti di Santiago: essere disposti a lasciarsi trasportare dai momenti di preghiera e dalle messe, a volte improvvisate in un prato, dalle testimonianze dei compagni e dei sacerdoti, dalla bellezza dei paesaggi collinari, simili a quelli delle Langhe, e dalla sensazione di rischiare di prendere il volo da un momento all’altro, sugli scogli pieni di vento affacciati sull’Oceano.
In realtà, non è facile riflettere e rendersi conto di tutto questo mentre si percorre il Cammino, un po’ per la fatica, un po’ per il fatto di essere in gruppo. Il valore dell’esperienza compiuta si assapora in gran parte dopo, quando si arriva a casa e si viene catapultati in una vita divenuta un po’ “estranea”. Una sensazione buffa, un po’ come guardare se stessi con gli occhi di qualcun altro. Non è detto che a casa si portino le risposte alle domande con cui si parte. Si portano risposte ad altre domande, oppure nuovi punti interrogativi, o semplicemente la felicità di aver scoperto nuovi amici: ma, sicuramente, non si torna identici a prima.
Beatrice Bersani