Santena, la città di Carlo Broglia (3/4)

Carlo Broglia, santenese Arcivescovo di Torino

Carlo Broglia, santenese Arcivescovo di Torino

La visita pastorale e i sinodi diocesani

Dopo la sua elezione ad arcivescovo di Torino nel 1592, monsignor Carlo Broglia non dovette tardare ad iniziare la visita pastorale alla diocesi, se già nel 1595 la concluse. «Fu probabilmente il primo vescovo di Torino a visitare tutta la diocesi», afferma il Tuninetti (p. 77). Non appena terminata la visita, nei giorni dal 9 all’11 maggio di quello stesso anno tenne il primo sinodo, tra le cui determinazioni vi furono indicazioni per la lotta contro le eresie nelle valli pinerolesi (la diocesi di Torino comprendeva allora anche il territorio dell’attuale diocesi di Pinerolo); disposizioni per la preghiera comune di suffragio fra il clero di una medesima zona, qualora sopraggiunta la morte di un parroco; richiesta ai parroci di vigilare sulla frequenza ai sacramenti da parte dei parrocchiani e di trasmetterne nota all’arcivescovo. Infine, il sinodo dispose la divisione della diocesi in vicariati foranei, con lo scopo di garantire un incontro mensile di formazione per il clero e la trasmissione degli ordini arcivescovili a tutte le parrocchie.

Un secondo sinodo diocesano venne celebrato nel 1597, ma, essendo andati perduti gli atti, è impossibile stabilirne le conclusioni. Nel 1606, il 6 e 7 giugno, fu invece la volta del terzo sinodo indetto da monsignor Broglia, nel quale si apportarono varie aggiunte e specificazioni al primo, quello del 1595. Altri quattro sinodi seguirono questi primi tre, per un totale di sette convocazioni sinodali lungo tutto l’episcopato di monsignor Broglia (l’ultimo fu celebrato nel 1614).

 

La riconquista dei fedeli al cattolicesimo

A partire dal 1595, l’arcivescovo Broglia molto si spese, lungo l’intero suo episcopato, per la riconversione al cattolicesimo da parte di coloro che l’avevano abbandonato. A partire dal 1595, inviò missionari Gesuiti nelle valli di Stura, di Lucerna e d’Angrogna, e Cappuccini in quelle di Perosa, di Chiusone e di Pragelato. Lo stesso monsignor Broglia si mise a capo della missione dei Cappuccini e, agendo con bontà e ascoltando i sentimenti e le ragioni dei suoi interlocutori, tanto fece che «tutti abbracciarono la fede cattolica… tutti vennero all’obbedienza», come ricorda il Semeria (p. 298). Conseguiti questi brillanti risultati, l’arcivescovo ritornò a Torino nel 1596, mentre le missioni nelle valli proseguivano.

Stemma di Carlo Broglia: d'oro, al decusse d'azzurro, ancora. È lo stemma di famiglia. Lo scudo è cimato da una croce semplice, trilobata d'oro, e sormontato da un cappello vescovile con cordoni e nappe laterali.

Stemma di Carlo Broglia: d’oro, al decusse d’azzurro, ancora. È lo stemma di famiglia. Lo scudo è cimato da una croce semplice, trilobata d’oro, e sormontato da un cappello vescovile con cordoni e nappe laterali.

Nell’anno 1600, resosi conto, grazie alla sua sollecitudine per la riconversione di quanti avevano abbandonato la fede cattolica, che l’allontanamento di molti dalla fede dei padri era dovuto da ignoranza della dottrina più che da consapevolezza, ordinò al capo dei missionari Cappuccini, fra’ Maurizio della Morra, di comporre un catechismo che esponesse chiaramente e sinteticamente le verità cattoliche, confutando nello stesso tempo gli opposti errori. Ne risultò un’opera tanto apprezzabile, che papa Clemente VIII la approvò, dopo una revisione affidata addirittura al cardinale Bellarmino, e venne data alle stampe già nel 1601.

Nello stesso 1601, riprese la visita alle valli di Luserna, donde si trasferì poi ad Angrogna, quindi a Perosa, a Pragelato, nelle valli di Lanzo e in quella di Susa. Con dispute, prediche, esortazioni, operò insieme ai padri Gesuiti molte riconversioni e fece finalmente ritorno a Torino nel 1603. Di questo periodo è noto il confronto con tale prete Agostino, il quale, rifiutandosi di andare dall’arcivescovo per un confronto sulla fede che aveva abbandonato, venne visitato presso la propria da casa da monsignor Broglia stesso, «a cui più premeva la salute delle anime, che all’Agostino l’osservanza delle buone creanze», chiosa il Semeria (p. 300).

Grande impegno dunque profuse l’arcivescovo nell’impresa missionaria nelle valli più segnate dall’abbandono della fede cattolica a favore della confessione protestante. Anche dal punto di vista economico, egli sostenne i religiosi che si occupavano di un’opera così delicata e impegnativa. E molto favorì anche la presenza degli ordini religiosi in ogni parte della diocesi: Agostiniani Scalzi, Cappuccini, Barnabiti, Gesuiti.

[continua (3/4)]

Lascia un commento