Coppie ed unioni di fatto: contributi per un confronto
“Coppie ed unioni di fatto. Una serata per capire”: se ne è parlato martedì 29 gennaio nella sala comunale “Visconti Venosta”, in un incontro organizzato dall’amministrazione comunale, al quale sono stati invitati esperti competenti sui diversi aspetti e posizioni circa il tema, moderati dall’avvocato Franco Gambino. Lo spunto è stato la presentazione, nei mesi scorsi, di una mozione in consiglio comunale da parte del gruppo di minoranza del Movimento Cinque Stelle.
L’avvocato Luigi Bergoglio ha fornito una panoramica sulla situazione attuale delle leggi italiane che riconoscono diritti e doveri alle diverse forme di “convivenze” tra cittadini, mostrando tra l’altro come al momento sia possibile a persone che non sono coniugate scambiarsi beni e benefici nel caso di decesso di uno dei partner, anche se l’unione tra i due non è giuridicamente determinata come matrimonio. Interessante il riferimento fatto all’articolo 29 della Costituzione italiana, nel quale si afferma che la famiglia fondata sul matrimonio pre-esiste allo Stato e dunque alla politica (e non il contrario). Che cosa sia famiglia non è determinato dal consenso della maggioranza dei cittadini, ma dalla natura stessa, in quanto è la famiglia ad essere un istituto naturale e non lo Stato – com’è del resto evidente.
Mons. Giuseppe Anfossi, vescovo emerito di Aosta ed ex presidente della Commissione episcopale per la famiglia e la vita della Conferenza episcopale italiana, ha presentato sinteticamente alcuni studi sulle ragioni della scelta, da parte delle coppie, di convivere anziché convolare a nozze (civilmente, non religiosamente). Il quadro che risulta da queste indagini (A. Zanatta, Le nuove famiglie, Il Mulino, 2003; F. Belletti – P. Boffi – A. Pennati, Convivenze all’italiana, Paoline, 2007; P. Donati, Famiglia risorsa della società, Il Mulino, 2012) evidenza come la scelta della convivenza, rispetto al matrimonio, assicura una minore responsabilità nell’assunzione di impegni e, soprattutto, nel mantenerli. Mons. Anfossi ha cercato di mostrare come un’unione che non ha fra le sue caratteristiche fondanti, liberamente scelte, la stabilità nel tempo, diventa una realtà aleatoria sempre sottoposta alla mutevolezza delle emozioni, dei bisogni, dei sentimenti dei partner. Con ricadute negative sui figli e sulla solidità sociale in senso più ampio.
Enzo Cucco, presidente dell’associazione radicale “Certi Diritti”, ha insistito nell’operare un rinnovamento di sensibilità e di mentalità circa le unioni di fatto, in particolare quelle che riguardano le coppie omosessuali. A suo avviso, oggi il loro riconoscimento è avvertito dalla maggioranza delle persone come un cambiamento che fa paura, ma immotivatamente. Alla stregua dell’inaugurazione della prima linea della metropolitana a Londra, oltre 150 anni or sono, che fece scrivere al quotidiano «Times» che essa avrebbe posto fine all’ordine naturale della società; oppure alla stregua del reato di tradimento, a cui il vecchio ordinamento penale italiano condannava le sole donne… I cambiamenti, secondo Cucco, non devono spaventare e la legge non può che seguire la realtà, che cambia, in quanto è la vita stessa a determinare le scelte delle persone. Non c’è altro che possa decidere sulla nostra vita – ha ribadito Cucco – che non siamo noi stessi.
L’ing. Giovanni Maria Ferraris, presidente del Consiglio comunale di Torino, ha infine illustrato l’iter dell’istituzione del registro delle unioni su base affettiva da parte della Città di Torino, il quale annovera l’iscrizione di 55 coppie, contro gli oltre 450mila nuclei di famiglie anagrafiche presenti sul territorio del capoluogo.
Gli interventi dal pubblico, che hanno avviato il dibattito finale, si sono rivelati in larga parte più una manifestazione di astio nei confronti della Chiesa cattolica, che non richieste di approfondimento o contributi per la riflessione.
Resta la perplessità circa alcune affermazioni emerse lungo la serata, come quella a proposito della possibilità, da parte delle coppie omossessuali, di avere figli (che notoriamente non possono nascere da due persone dello stesso sesso, per biologiche ragioni…): che ciascun membro della coppia possa essere genitore naturale, non v’è dubbio; ma che possano esserlo insieme, senza ricorrere al concorso di una parte esterna alla coppia, è piuttosto balzano (o falso?) sostenerlo.
Suscita perplessità anche l’argomento della paura del cambiamento, che paragona l’inaugurazione della metropolitana al riconoscimento della possibilità di matrimonio a persone dello stesso sesso: a distanza di tempo, certo fanno sorridere quelle paure che sono suscitate da fattori “culturali”; ma il piano della cultura non va confuso con quello della natura: si tratta di realtà ben distinte.
E così pure lascia perplessi l’accusa rivolta alla Chiesa cattolica di “giudicare” le persone: la dottrina cristiana, che non è avulsa dalla fede in Gesù Cristo (come giustamente richiamato da un intervento del pubblico), giudica e condanna ciò che guasta la bellezza e la bontà di ogni uomo e donna, ma non certo la persona del peccatore. Sentirsi “giudicati” per un proprio comportamento, è normale e faticoso (e vale anche per i credenti!); ma questo “giudizio” mostra solo che, a volte, le proprie pulsioni o i propri comportamenti possono essere “pesati” in modo diverso da come noi li viviamo in prima persona. Con un criterio che non è, tra l’altro, arbitrario, perché viene proprio da Gesù Cristo (invocato del resto proprio dall’intervento del pubblico già richiamato).
Ancora, non è chiara la pervicacia nel voler sostenere la convivenza tra coppie eterosessuali come alternativa al matrimonio, salvo poi invocarne il riconoscimento giuridico. Se si convive, si sceglie di stare insieme in quella forma. E per chi la sceglie, andrà benissimo così. Altrimenti ci si sposa (civilmente, per carità: il matrimonio religioso non è in questione). Quale sia il problema, non è emerso con chiarezza da parte degli interventi del pubblico.
E infine, per quanto attiene le persone omosessuali, va ribadito che la Chiesa cattolica non li rifiuta, né li condanna in quanto tali. Basta leggere il documento della Congregazione per la dottrina della fede Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali [clicca qui per leggere il testo], che risale al 1986 e mostra come le porte della fede cattolica sono aperte (eccome!) a chi vive questa condizione affettiva. Oppure il testo di V. Danna, Fede e omosessualità, Effatà, 2009, pubblicato dall’Arcidiocesi di Torino. O ascoltare gli omosessuali credenti. Si aprirebbe un mondo… anche perché l’ascolto è sempre un rapporto biunivoco, in due direzioni.
don Mauro Grosso