Eutanasia e rincorse «col forcone»
Questa rubrica [sul quotidiano «Italia Oggi», n.d.r.] trae linfa vitale dal cogliere, a volte, temi e comportamenti organizzativi delle élite occidentali, che possano rappresentare dei pericoli per i comuni cittadini. L’ultima di queste minacce arriva da un losco paese del Nord, l’Olanda. Leggo un’intervista di Roger van Boxtel, Ceo del grande gruppo assicurativo olandese Menzis, e trasecolo. Ero rimasto che le polizze vita fossero una intelligente scommessa fra compagnia e cliente, ora scopro che la Menzis ha una polizza ove lei si accolla tutti i costi dell’eutanasia, purché siano soddisfatti i criteri per la soppressione del cliente previste dal contratto. Il programma “Levenseinde”, immagino di fascia alta, è il primo al mondo che pratica l’eutanasia “porta a porta”, con quindici unità mobili che sopprimono i pazienti-clienti direttamente a casa propria, il tutto a spese della Menzis: mi sfugge dove sia il business, ma trattandosi di olandesi c’è di certo, e ricco. Il programma è stato approvato dal ministro della Sanità Edith Shippers, con un meccanismo che piacerebbe ai giustizialisti nostrani: i giudici dal 2001 hanno cominciato a emettere sentenze per eutanasie “singole”, quando il numero ha raggiunto certi livelli, il Parlamento lo ha tradotto in legge, così si è passati dai 1.800 casi iniziali ai 3.000 all’anno attuali. Per i bambini c’è un protocollo apposito, detto di Groningen: confesso che non sono riuscito a leggerlo, a conferma che sono ancora umano, avrebbe chiosato un mio grande concittadino che amava le chiavi a stella.
È la prima volta in cui ho sofferto a raccontare una notizia e ancor più a fare i commenti. Sarebbe stato facile, accoppiare il suffisso “ismo” a sostantivi diventati celebri nel secolo scorso, che compivano con altrettanta professionalità attività riconducibili a queste, le praticavano però nel segreto più assoluto, costoro invece essendo democratici (dicono) nella più assoluta trasparenza. Mi sono imposto di non fare commenti, tanto ci hanno pensato, forse inconsciamente, gli stessi organizzatori di questa nuova filosofia di vita che, in nome del politicamente corretto e nel rispetto delle regole sindacali, hanno sentenziato: «ogni unità mobile non può eliminare più di un paziente alla settimana, per minimizzare l’impatto psicologico sugli addetti». Ripeto, nessun commento, ma una mia decisione personale si imponeva. Avevo in programma un viaggio, embedded a mio figlio, in Olanda e nei Paesi Scandinavi: l’ho annullato e mai più entrerò in tali paesi. Rinunciare ai loro zoccoli, ai bulbi, all’osceno formaggio mi pareva un atto troppo banale e facile, una presa di distanza, non una rottura definitiva.
Un aspetto positivo c’è stato, dopo questa scoperta la mia fierezza di essere italiano si è esaltata, ho pensato: loro hanno la “Tripla A”, noi la “Doppia B”, pensate quante tacche di civiltà umana ci separano. Però se sento ancora uno dei tanti soloni nostrani che ripetono “ispiratevi ai popoli del Nord dalla Tripla A”, li rincorro col forcone.
Riccardo Ruggeri
(Tratto da: «Italia Oggi», 23 novembre 2012)