Felici o soddisfatti?

“Soddisfatto” deriva dal latino satis factum, fatto sazio. Essere soddisfatti ha a che fare con l’essere appagato, riempito, con il prendere o ricevere qualcosa da fuori per metterlo dentro. Che si tratti di un barattolo di nutella, di una medaglia d’oro, di un complimento, di un bel voto o della scintillante vittoria ad una competizione sportiva o aziendale, non fa tutta quella differenza. Tutto questo è indiscutibilmente necessario, ma confondere la felicità con la soddisfazione potrebbe, alla lunga, impoverirci e trasformarci in larghi contenitori costretti ad essere sempre pieni.

“Felice” trova la sua nobile origine nel termine latino ferax, fertile, nutriente. Viene letteralmente capovolta la prospettiva: si prende o si riceve da dentro di sè per mettere, offrire, investire fuori di sé. Essere felici ha a che vedere con la possibilità di sentirsi utili (non in senso utilitaristico), di avvertirsi “pieni” senza aver messo dentro nulla, ma anzi avendolo tolto, avendo messo qualcosa da qualche parte fuori da se stessi. Essere felici rappresenta l’esito di un percorso più articolato, dove non esistono soltanto sentimenti positivi e gradevoli o alleggerimenti della pena e della fatica di vivere. Anzi.

(tratto da: Giovanni Capello, Crescere e far crescere)

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