Don Martino: «Basta girare in periferia: entriamo in Gesù!»
Pubblichiamo l’omelia pronunciata da don Martino Ferraris durante la S. Messa che ha presieduto in parrocchia, il giorno del suo ingresso ufficiale come vicario parrocchiale in Santena, sabato 15 settembre.
«Fino a qualche settimana fa, la mia conoscenza di Santena era una conoscenza dalla tangenziale. Non conoscevo niente di Santena. Ero venuto una sera di dicembre a trovare don Nino e don Mauro, con i miei compagni di corso. C’era anche la nebbia, fitta: allora ho visto un po’ il campanile e la chiesa, e basta. Tante volte sono passato in autostrada e ho sempre visto la chiesa e il campanile. Per me Santena era quell’immagine che vedevo dall’autostrada. Non ero mai uscito dal casello per venire a conoscere Santena.
Da oggi in poi – sempre di più – non sarò più a guardare Santena dalla tangenziale, ma da dentro Santena. E imparerò a conoscerla dal di dentro. Imparerò a sentire come parla Santena. Imparerò a conoscere i nomi di chi abita a Santena. A riconoscere le voci delle persone di Santena. A conoscere i silenzi di Santena. A conoscere le gioie, a conoscere le fatiche. Direi anche a vedere come si mangia a Santena. E a vedere come vive la gente di Santena. Come opera e come prega la gente di Santena. Nel momento in cui entro qui dentro non vedo più queste cose dal di fuori, ma divento anche io uno di Santena – e di Cambiano! Le gambe di là, le braccia di qua… E allora ho capito una cosa: che fin quando non entriamo dentro una realtà, non possiamo conoscerla bene e amarla. Io non potevo amare Santena vedendola solo dall’autostrada. Potrò dirvi come ho amato Santena quando andrò via di qua – spero tra un po’ di anni – dopo che ci sono stato tanto. Quanto conoscerò i vostri nomi. E imparerò le vostre voci, le caratteristiche di questa città e le sue bellezze. Solo allora potrò dire: “Santena ti conosco bene; ci conosciamo bene; siamo diventati una cosa sola”. Solo se sono dentro posso amare davvero qualcosa.
Ecco, Gesù nel vangelo ci parla di una conoscenza, a volte superficiale, che possiamo avere con lui. Io direi una conoscenza “da autostrada”. A volte per noi Gesù è come guardato dall’autostrada; qualcosa vediamo, ma non ci entriamo, non ci mettiamo in gioco con lui. Gesù fa la domanda: “La gente chi dice che io sia?”, perché vuole capire se giriamo in tangenziale o se entriamo dentro di lui. I suoi, e in particolare Pietro, rispondono bene. Pietro e gli altri intorno sono persone che sono entrati nella vita di Gesù. Dicono: “Tu sei il Cristo”. Pietro e gli apostoli non si fermano sull’autostrada, ma prendono lo svincolo ed entrano dentro il Signore, si fermano dentro di lui. Imparano ad ascoltarlo. Imparano a riconoscerne la voce. Imparano a riconoscere i suoi silenzi, ad amare le sue caratteristiche. Mangiano con lui, lo vedono sofferente, poi lo vedranno risorto. Cioè stanno dentro il cuore di Gesù. Anche la statua del Sacro Cuore che ho alle spalle, come quello della chiesa di Torino che ho lasciato, ha una mano che indica il cuore, come se Gesù ci dicesse: “Tu devi stare qua dentro, questo è il tuo posto”. Occorre abitare dentro di lui.
E allora, utilizzando questa immagine, credo che possiamo percorrere un cammino abbastanza semplice per entrare nella vita di Dio e non rimanere in tangenziale. Ecco, arrivando da Torino mi sono fermato a un casello, ho pagato un pedaggio, 1,70 euro, abbastanza costoso. Allora, la prima cosa che dobbiamo fare per entrare nella vita di Dio è pagare il pedaggio, cioè lasciare dietro di noi la zavorra, la vita vecchia, lasciare via qualcosa, anche quando costa. Gesù dice: “Chi non rinnega se stesso e non prende la sua croce…”. Occorre lasciare dietro l’uomo vecchio, anche se costa. Spesso vogliamo fare fuori l’uomo vecchio che è in noi, ma in realtà lo facciamo solo andare un po’ via, poi lo richiamiamo perché stiamo bene con lui. Il Signore ci dice di lasciarlo dietro.
Ancora, per entrare qui a Santena si prende una deviazione. La strada che ci porta dentro Gesù è la preghiera. Con essa entriamo dentro la vita di Dio. La preghiera è la strada larga, magari con qualche curva, che ci porta dentro la vita di Dio. La preghiera è fatta apposta perché noi possiamo entrare nella vita di Dio. Abbiamo così l’opportunità di imparare a riconoscere la sua voce ad amare la sua parola. Ecco, occorre nutrirci della sua parola, deve suonarci familiare. Quando io sento al telefono qualcuno che conosco lo riconosco subito, anche se non lo vedo. Il Vangelo mi deve essere familiare.
Occorre imparare ad ascoltare anche i silenzi di Dio, che non parla sempre e non è sempre così come lo vogliamo noi. E allora credo che entrare nella vita di Dio vuol dire anche partecipare ai silenzi di Dio; non avere sempre le risposte comode; accettare anche di non capire tutto di Dio, ma sapere stare nell’umiltà paziente, pronta ad accogliere la parola, quando arriva.
E poi nutrirsi: e allora ecco la partecipazione alla Messa, il momento in cui spezziamo il pane con Dio. Il Signore ci da il pane del cielo, il suo corpo, nutrirci di lui e direi anche del suo perdono. Ecco dunque siamo chiamati a sfruttare i confessionali: entrare lì vuol dire tirare l’acqua al nostro mulino e non al mulino dei preti. Entrando lì ci guadagno, ritrovo la dignità, mi viene ridato lo slancio, mi viene ridato lo sguardo benevolo di Dio, che non mi ha mai tolto, ma che mi sono dimenticato che ci fosse. Significa condividere anche la sofferenza che il Signore vive nella storia e condividere anche le gioie, imparare a gustarle, a non buttare via nulla di quanto viviamo. Saper dire, solo alla fine della nostra vita: “Signore, ti ho conosciuto”. Guai a dire adesso: “Ho capito tutto di Dio”. Se io amo una persona e gli dico: “Adesso ho capito tutto di te”, allora è la fine. Occorre non stufarsi mai nel cercare il Signore, di stare dentro di lui.
Io credo che il nostro essere qui come preti a Santena e anche a Cambiano vuole essere uno stare con Gesù, insieme, perché anche noi abbiamo bisogno di fare questo. Noi siamo qui al vostro servizio per aiutarvi a starci dentro, ad apprezzarlo, insomma a non stare in tangenziale. Ecco allora che l’Anno della Fede che si apre adesso, a ottobre, sia un anno per la nostra parrocchia, per la nostra Unità pastorale, per la Chiesa, in cui ci diciamo: “Basta girare in periferia”. Entriamo dentro il Signore e stiamoci. Viviamolo. Ecco il significato di: “Venite a me e io vi ristorerò”.
Questo è il mio augurio e il mio desiderio di questo servizio che inizia con voi, che io non inizio in modo scontato. Io non sono partito da Torino dicendo: “Ora cambio lavoro”, perché non è “un lavoro”. Io sono venuto con emozione. Oggi i sentimenti che nutro, sono quelli della mia ordinazione. Una novità. Però il Signore c’è qui come in tutto il mondo. È dentro di Lui che tutti dobbiamo stare e allora solo così troveremo la quadra in tutto quello che faremo, il senso di quello che faremo. Noi preti speriamo di aiutare voi a fare questo, ma voi avete il grande compito di aiutare noi per servirvi bene, per servirvi per rimanere nel cuore di Dio, quel cuore che è la fonte della nostra vita, della nostra gioia e dell’esito furbo della nostra esistenza. Sia lodato Gesù Cristo».