XX Giornata mondiale del malato: “Gesù ci è accanto”
Davanti ad ogni malato, come ad ogni operatore sanitario e volontario, c’è la testimonianza di Gesù, i suoi atteggiamenti di profonda umanità e spiritualità verso le persone, che ricorrono a lui per ottenere la guarigione e avere la pienezza della vita fisica e spirituale. Gesù tocca il corpo malato, si accosta e solleva le persone prendendole per mano. Non ha paura di stendere la sua mano per toccare il corpo tumefatto del lebbroso (Mc 1,40-45), di toccare gli occhi del cieco nato (Gv 9,6), di prendere per mano la figlia di Giairo (Mc 5) e sollevarla, come fa con la suocera di Pietro (Mc 1,31), di lasciarsi lavare i piedi dalla peccatrice e toccare il mantello dall’emorroissa (Lc 7 e Mc 5). Questi comportamenti di Gesù sono la più grande novità che entra nella storia: Dio, che si fa non solo vicino, ma si comunica come uomo e usa del suo corpo per incontrate la persona: una presenza che non dice solo parole di consolazione e di speranza, ma fa gesti concreti di condivisione, anche fisica. Così, come fanno il medico e l’infermiere. I suoi gesti di vicinanza fisica mostrano la sua profonda e coinvolgente umanità verso la persona che soffre ed il suo corpo malato.
Per il cristiano non esiste un corpo affetto anche dalle più devastanti malattie, che non sia tempio dello Spirito Santo e come tale espressione della bellezza e grandezza di cui l’ha rivestito Dio. Affermava sant’Ireneo nel trattato Contro le eresie 13 (IV, 20, 7): «La gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo sta nella visione beatifica di Dio». Se il corpo è riflesso della gloria di Dio e destinato alla risurrezione e alla vita eterna, è sempre e comunque da rispettare, curare, amare, sostenere, soprattutto quando è sofferente, deforme, disabile e sembra, a volte, un carcere, come dicevano gli antichi, che imprigiona lo spirito. Per questo, l’unica cura doverosa, di cui necessita ogni persona, è l’amore che non spezza mai una vita, ma la protegge e la sostiene, perché in ogni sua condizione, anche la più estrema e considerata ormai perduta, resta un dono da accogliere e un richiamo potente per tutti ad amare.
Gesù, mentre cura il corpo, stabilisce un rapporto diretto, faccia a faccia, con ogni persona che chiede la guarigione ed invoca aiuto nella malattia. Egli sa vedere, ascoltare il grido dei malati e dei poveri, anche se non parlano. Sa condividere insieme la loro anima interiore e non solo la sofferenza fisica. Ci sono delle parole che non si odono, perché il nostro prossimo non le pronuncia apertamente, ma che di fatto ci vengono rivolte da tante persone con cui abbiamo a che fare ogni giorno. Per accoglierle si deve entrare nella dimora della persona, farsi accanto per condividere una esperienza di gioia o di dolore, proprio come faceva Gesù. C’è una commensalità del dolore, che nasce dal saper condividere la sofferenza dell’anima, oltre che del corpo, quel mondo interiore carico di paure e di ansietà, come pure di umanità profonda e di spiritualità che sono una invocazione a Dio e al suo amore. Questo atteggiamento si può definire la forma compiuta della carità professionale di un medico o di un infermiere, quando, al di là delle loro competenze, mostrano di nutrire quel sano orgoglio nell’affrontare i problemi del malato, coinvolgendosi nel percorso della malattia, quasi ne fossero partecipi insieme con lui.
Cari amici, questo è il Dio con noi, che educa i suoi discepoli ad avere cura della salute fisica e spirituale insieme a quella della vita, propria ed altrui. Ha amato con cuore di uomo, ha lavorato con mani e mente di uomo, ha sofferto ed è morto come ogni uomo. Nella sua esistenza, nei suoi gesti e nelle sue parole, ma soprattutto nel suo comportamento, possiamo trovare la via da seguire per essere, come lui, persone ricche di umanità e di amore verso i “nostri” malati, ma anche verso chiunque chiede e dona amore con la sua sofferenza.
A Maria, Salus infirmorum, Madonna della salute, affidiamo la cura della nostra salute fisica e spirituale, affinché possiamo vivere ogni giorno con serenità e fiducia in Gesù Cristo, suo Figlio e nostro Salvatore. Ella, che si è fatta carico della salute e della vita buona di santa Elisabetta, della famiglia di Cana e, sotto la croce, ha offerto il suo sacrificio in unione a quello del Figlio per la salvezza eterna di tutta l’umanità, ascolti la supplica del cuore di tanti malati e sofferenti e, come ci dimostra in tutti i suoi santuari, sia pronta ad intercedere, affinché le preghiere e le lacrime non vadano perdute e siano accolte da Dio.
+ Cesare Nosiglia
(Tratto dalla lettera Alzati e va’, la tua fede ti ha salvato)