“L’angolo dei Gentili”: Chiesa e Stato nel Risorgimento

“Chiesa e Stato nel Risorgimento”: ne hanno discusso lo scorso 15 dicembre nella Sala Blu dell’oratorio “San Luigi” mons. Renzo Savarino, docente emerito di Storia della Chiesa presso la Facoltà Teologica di Torino, e Gino Anchisi, storico e membro della Fondazione “Amici di Cavour” di Santena. L’iniziativa si inserisce nel progetto “L’Angolo dei Gentili”, sostenuto dalla parrocchia e dal santenese “Circolo Europa”, nello spirito del “Cortile dei Gentili” auspicato da papa Benedetto XVI: un’occasione «dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto» (Discorso del Santo Padre alla curia romana, 21 dicembre 2009).

Mons. Renzo Savarino

Mons. Savarino ha riassunto le vicende storiche della Chiesa nel Risorgimento dal 1814, con il Congresso di Vienna, al 1929, con i Patti Lateranensi. Con la caduta dell’impero napoleonico, in Italia iniziarono a diffondersi movimenti che avevano come obiettivo il raggiungimento di uno stato unitario. La prima corrente ad affermarsi fu quella neoguelfa, di ispirazione dunque cristiana, che però entrò in crisi nel 1848 quando Pio IX non appoggiò i moti popolari che favorivano il Piemonte contro l’Austria. La seconda corrente, che infine prevalse, fu quella sabauda, che vedeva riassunta la sua idea sul rapporto fra Stato e Chiesa nella celebre affermazione di Cavour: «Libera Chiesa in libero Stato». Questo principio, tuttavia, si concretizzò in programmi statali che tentarono però sempre più di escludere la Chiesa dalla vita della nazione. La concezione è che nello Stato si trova anche la Chiesa. Per quest’ultima, quindi, crebbe la necessità di rendersi indipendente, secondo un principio di reale reciprocità, che suona più precisamente come: “Libera Chiesa e libero Stato”.

Nel marzo 1861, con Roma che divenne capitale d’Italia, Pio IX accettò la proposta cavouriana che avrebbe garantito libertà ed indipendenza alla Santa Sede in cambio della rinuncia da parte del papa del suo potere temporale sullo Stato Pontificio. Il vescovo di Roma accettò pur avvertendo che questo nuovo assetto sociale avrebbe avviato un processo di scristianizzazione, con conseguenze sul piano dei valori fondanti per lo Stato e dell’incisività nella società per la Chiesa. Ne seguì l’estromissione dei cattolici seguita dalla “Legge sulle opere Pie” che sancì la confisca di un’enorme quantità di beni a confraternite ed escluse inoltre la figura del parroco dalle amministrazioni comunali. La questione del rapporto tra Stato e Chiesa nel Risorgimento si chiuse nel 1929 con i Patti Lateranensi, che garantirono realmente e finalmente l’indipendenza del papa e concessero fondi  alla Chiesa, successivamente impiegati nelle opere cristiane in Roma. Oggi, volendo fare un bilancio su entrambe le parti, Stato e Chiesa, ci troviamo di fronte a due grandi crisi: per il primo, sul piano etico; per l’altra, sul piano consensuale. Esattamente ciò che temeva Pio IX.

Gino Anchisi

Gino Anchisi ha ripercorso l’intera parabola risorgimentale gettando uno sguardo sintetico sui cambiamenti operati nel periodo racchiuso tra l’inizio dell’Ottocento e la presa di Roma, periodo in cui nascono lo Stato moderno e la Chiesa moderna, mentre finisce il potere temporale del Papa e quello della nobiltà. È in questo tempo che le innovazioni tecnologiche, scientifiche ed istituzionali creano un nuovo scenario che impone capacità di adattamento e di adeguamento per le istituzioni religiose e sociali. Nuovi ceti emergono nella società, portatori di nuovi interessi che si manifestano in nuove dimensioni sociali e politiche, mettendo in crisi gli assetti sociali ed economici precedenti. Si creano nuovi equilibri e nuove alleanze a livello politico ed economico. L’emersione della società civile mette in discussione il ruolo dello Stato e della Chiesa. Gli imperi fanno i conti con gli stati nazionali e regionali. Prevale la dimensione del governo nazionale. Quando la questione italiana assume una dimensione europea, la presenza di staterelli dipendenti dall’Austria crea le condizioni affinché in Italia l’unitarismo vinca sul neoguelfismo e sul federalismo. Lo stato guidato dal Papa re, che divide in due la penisola, diventa un anacronismo. L’unificazione attuata in modo “pacifico” per il nord e il centro-Italia, avviene in modo “violento” per il Meridione e per lo Stato pontificio. L’autorità temporale del pontefice in Italia sarà ridimensionata e ridotta su una piccola parte di territorio.

In Piemonte le riforme toccano principalmente i privilegi del clero e la politica economico-finanziaria. La riforma Siccardi si caratterizzò per l’abolizione del foro ecclesiastico, dei residui del diritto d’asilo, la riduzione del numero delle festività religiose, l’obbligo dell’autorizzazione governativa all’accettazione di eredità e donazioni da parte di enti ecclesiastici. Queste leggi erano il tentativo di una riforma in materia ecclesiastica che si allargò al matrimonio civile e poi alla questione del patrimonio ecclesiastico per ridistribuire il reddito al clero più povero. Il clero allora godeva di privilegi eccessivi, che lo rendevano inviso al popolo. In gioco era il potere e chi ne detenesse il più importante controllo: quello dell’educazione, dell’istruzione e della formazione del cittadino. Ecco dunque un tema sempre attuale: il rapporto tra Stato e Chiesa, ieri, oggi e domani.

(A cura della Redazione
con la collab. di Novella Tesio)

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